OTTOBRE – Quando il debitore si libera dei beni non tutto è perduto

Può capitare di avere un credito nei confronti di una persona che, nel momento del nascere del rapporto, ci era parsa del tutto solvibile sia perché apparentemente onesta sia perché, ad esempio, sapevamo proprietaria di beni immobili. Purtroppo può anche capitare che questa persona tardi nel corrispondere quanto a noi dovuto, temporeggi avanzando scuse più o meno credibili sino a rendersi irreperibile. Arrivati a questo punto potremo con sconcerto scoprire che i beni su cui si era fatto affidamento non appartengono più al debitore in questione. Del tutto logico cominciare a nutrire dubbi sulla possibilità di ottenere quanto ci spetta di diritto. Tutto perduto? Forse no. Il nostro ordinamento contempla un apposito rimedio, l’azione revocatoria ordinaria, disciplinata dagli artt. 2901 cod. civ. e segg., in base ai quali i creditori possono, a determinate condizioni, domandare che siano dichiarati inefficaci nei loro confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali i debitori rechino pregiudizio alle loro ragioni, in modo da poter esercitare sul bene oggetto dell’atto l’azione esecutiva.
Ai fini dell’utile esercizio dell’azione revocatoria, l’istante deve provare la titolarità del credito per la cui tutela è esperito il rimedio, la lesione della garanzia patrimoniale per effetto dell’atto di disposizione posto in essere dal debitore (il cd. eventus damni) e un particolare atteggiamento psicologico del debitore e del terzo. Di contro, sul convenuto in revocatoria grava l’onere di provare la persistente titolarità di un patrimonio atto a soddisfare le ragioni di credito poste a base della domanda del creditore. L’elemento soggettivo assume consistenza diversa a seconda che si versi in ipotesi di atto di disposizione compiuto dal debitore successivamente alla nascita del credito ovvero in un momento precedente.

Nel primo caso è necessario e sufficiente l’accertamento della ricorrenza della cd. scientia damni, ovvero deve essere fornita la prova della consapevolezza da parte del debitore – in termini di effettiva conoscenza o, anche, di agevole conoscibilità – di arrecare, con l’atto di disposizione in discussione, un pregiudizio agli interessi del creditore.

Nel secondo, invece, la prova richiesta è ben più ardua, in quanto deve essere accertata la specifica intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale del creditore. Non solo. L’atto di disposizione coinvolge, necessariamente, un soggetto terzo. Per il dettato normativo, se l’atto è stato a titolo oneroso il creditore deve “limitarsi” a provare che quest’ultimo fosse consapevole del pregiudizio che sarebbe derivato alla sua persona, mentre nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, la prova diventa più ardua in quanto viene richiesta la partecipazione del terzo alla dolosa preordinazione.



Da quanto fin ora esposto, si evince che la strada del creditore non è certo in discesa, ma se siete debitori e vi sta balenando in testa qualche cattiva idea che magari vede coinvolto un parente, tenete presente che: “In tema di condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, la prova del requisito della consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi dei creditori può essere fornita anche mediante presunzioni, dovendosi, tra l’altro, attribuire rilievo al grado di parentela fra il debitore e gli acquirenti” (Cass. civ., Sent. n 8735 del 09.04.2009); ancora: “Per il rapporto di stretta parentela fra i convenuti, si deve necessariamente concludere per la sussistenza, nella fattispecie, di elementi probatori gravi, precisi e concordanti, tali da far ritenere pienamente fondata l’azione pauliana promossa dall’attrice con riferimento alle disposizioni patrimoniali intercorse fra i convenuti medesimi” (Tribunale Milano, Sent. n. 7963 del 26.06. 2007).




Concludo ricordando che con DL n. 83 del 27 giugno 2015 è stato introdotto nel nostro codice civile l’art. 2929 bis che consente al creditore di procedere con l’azione esecutiva nel caso di apposizione di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito di beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri posti in essere successivamente al sorgere del credito, sempre ch’egli trascriva il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto.

 

DIRITTO E CASTIGO
Rubrica legale a cura dell’avvocato Roberta K. Colosso
info@studiolegalecolosso.it

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