Cambia il clima, cambia il Piemonte. Ambiente, flora, fauna: impatti e scenari futuri

Estati sempre più calde, fenomeni meteorologici sempre più estremi, invecchiamento di una popolazione sempre più vulnerabile, migrazioni di specie animali e vegetali, scioglimento dei ghiacciai. Sono solo alcuni degli scenari previsti dagli studi più recenti e degli impatti prodotti dai cambiamenti climatici in Piemonte, di qui ai prossimi cento anni, trattati nel corso di formazione regionale sul “climate change”,organizzato nei giorni scorsi dalla Regione Piemonte a Torino.
I tecnici dell’Arpa Piemonte hanno parlato delle ricadute e degli impatti dei cambiamenti del clima sul territorio piemontese. Dopo una introduzione generale a livello globale, Simona Barbarino ha spiegato il concetto di “forzante radiativo”, la misura dell’influenza di un fattore come l’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera nell’alterazione del bilancio tra energia entrante ed energia uscente nel sistema. Il forzante positivo è associato al riscaldamento della superficie terrestre, mentre il forzante negativo al raffreddamento.
Le proiezioni climatiche future fino al 2100 per il Piemonte parlano di un aumento delle temperature, con situazioni sempre più estreme. I modelli presi in esame sono due: uno più ottimistico, che tiene conto del raggiungimento dei risultati previsti dall’Accordo di Parigi, e l’altro pessimistico, che si muove come se i buoni propositi degli Stati firmatari non fossero andati a buon fine.
Renata Pelosini ha spostato l’attenzione anche sugli impatti che tali cambiamenti possono avere in uno scenario in cui in Europa il 75% della popolazione vive in città e a metà secolo questa percentuale andrà verso l’80-65%, e in cui i centri urbani consumano il 69% dell’energia totale. In Piemonte il 20% del totale della popolazione risiede a Torino, una popolazione già da tempo soggetta ad un aumento dell’età media.
Negli ultimi 30 anni si è registrato un aumento della temperatura media di 0,7 gradi. Ne risentono le stagioni estiva ed autunnale. Le massime estive hanno fatto registrare valori estremi con diverse ondate di calore. In seguito quella che investì Torino nel 2003 ci fu un aumento di decessi del 33%. Il luglio del 2015 è stato il più caldo in assoluto e l’estate del 2017 una delle più secche degli ultimi 60 anni, con il Po a Torino sempre al disotto della portata media. In questa situazione, novembre diventa il mese più piovoso con episodi alluvionali frequenti, fenomeni brevi e intensi associati a forti venti. Il modello prevede per il 2040 una temperatura estiva media dai 28 ai 30 gradi con ondate di calore sempre più frequenti e durature, che andranno a coprire più di trenta giorni nell’arco di una intera stagione estiva.



I cambiamenti climatici interessano anche la fauna e la flora. Secondo Nicola Loglisci entro il 2050 il 25% delle specie mondiali saranno estinte a causa dell’azione combinata del cambio del clima, riscaldamento e degrado degli habitat. Fra gli effetti già misurabili, il deperimento delle querce e la defogliazione degli alberi, a causa della siccità. Da considerare anche la migrazione delle specie: l’istrice, specie africana, è arrivata nelle colline di Valenza e di Cambiano. Altro esempio, le libellule: specie africane che si trovano anche in alta montagna. E poi l’allungamento della permanenza in vita della zanzara tigre, da ottobre a marzo. Ma non solo, a risentire dei cambiamenti sono anche i lepidotteri, e le api domestiche, in molti casi rimaste senza nutrimento.
Anche la viticoltura comincia a risentire del “climate change”: c’è una perdita delle rese e uno spostamento in quota delle viti, il dolcetto è in crisi e il nebbiolo, nonostante le ultime annate eccezionali, a lungo andare tenderà a perdere la colorazione, anche a causa del cambio fenologico, che spinge i viticultori ad anticipare le fasi di raccolta e produzione.
Luca Paro ha affrontato il tema della fusione dei ghiacciai, che negli ultimi dieci anni si sono ridotti del 25%.
Altro tema interessante e le cui conseguenze non sono ancora state adeguatamente misurate, è l’affiorare in superficie del permafrost, in seguito allo scioglimento dei ghiacciai. In Piemonte il permafrost occupa una superficie di 200 metri quadri. La fusione dei ghiacciai crea problemi anche alla stabilità dei versanti montuosi e le grandi frane sono sempre più frequenti.

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