OTTOBRE – Nina Marchisio, nata nel 1928

Nina Marchisio

Nina Marchisio, nata nel 1928

Conosco la signora Marchisio da tanti anni; quando ci incrociamo per strada scambiamo spesso “quattro parole” e da tempo desideravo incontrarla, ma solo ora c’è stata la possibilità di una più lunga chiacchierata.
Marianna, per tutti Nina, Grosso è nata a Polonghera il 27 novembre 1928 e porta il nome della nonna paterna, carignanese, nata Brusa. E’ la seconda di cinque figli: Giovanni (1927-1995), Anna (1932), Cesare (1935), Domenica (1940). Ultimati i cinque anni della scuola elementare a Polonghera (e ancora ricorda i nomi delle sue maestre), frequenta i tre anni dell’Avviamento Professionale (scuola pubblica) a Saluzzo, dove è ospite presso il collegio tenuto dalle Suore di San Vincenzo de’ Paoli (e anche qui ne ricorda i nomi). Quella del collegio era l’unica possibilità per proseguire negli studi quando nella città d’origine non c’era altra scuola oltre all’Elementare, perché i mezzi di trasporto, quando esistevano, erano molto limitati.
A Polonghera, nella panetteria del padre (Michele) coadiuvato dalla moglie (Maria) lavora anche un “garzone” (apprendista) ed in casa c’è l’aiuto di una domestica ma allo scoppio della guerra il primo dovette partire, arruolato, e la seconda tornò a casa sua perché il fratello era sotto le armi. Li sostituiscono Marianna e Giovanni che viene fatto tornare dal collegio dove studiava, a Giaveno.
Pur disponendo di un’impastatrice elettrica, il mestiere richiedeva levatacce e ore di lavoro anche se allora le forme di pane richieste non erano molte, e poi occorreva curare bene il forno. Accenna ai grissini che venivano preparati su una base di farina di semola, disposti sulla pala ed infornati, ma Nina non ha mai imparato quest’ultima fase.
L’incontro con Giovanni Battista (Tino) Marchisio (classe 1921) non fu casuale. I padri erano amici e la famiglia di lui aveva una salumeria dove venivano già inseriti piatti di gastronomia, proprio grazie a Tino che era andato a Saluzzo e Torino ad imparare presso negozi già all’avanguardia. Anche per lui c’è l’interruzione della guerra e ritorna nel novembre 1945. Qualche tempo dopo invia a Nina una lettera con l’invito a frequentarsi, lei ne parla in famiglia e ricorda che papà Michele, sempre severo al punto da non permettere alle figlie, a quindici-sedici anni, di far parte della recita se non su diretta richiesta del parroco, in quell’occasione commentò “E’ un bravo giovane, intelligente!” e Nina, dapprima titubante, finì per accettare. Tino poi si presentò alla famiglia Grosso con un piatto di portata “colorato” che fu scambiato per un vassoio di “bignole”: era invece insalata russa, ancora poco nota. Tino balla molto bene, le insegna e lei ci mette tutto l’impegno; vanno nelle sale, oltre alle feste di paese dove è allestito il ballo a palchetto, e, dopo il lavoro, giustamente si divertono.



Il 23 aprile 1948 si sposano, imponendosi al parroco, di giovedì pomeriggio, perché allora i negozi erano aperti anche la domenica e le famiglie erano commercianti… Marianna indossa un abito di seta beige con ramages verdi ed orchidee con corpetto ramborsé su gonna a godet, un soprabito di lanetta verdino cappello beige con piccola tesa e scarpe di vernice nera. Tino ha un abito confezionata su misura dai parenti da parte materna, sarti: un gessato con sottili righe verdi.
Per il viaggio di nozze si concedono quindici giorni: come meta Sanremo ma lì si fermano poco perché dove alloggiano il vitto non è soddisfacente e vanno a Savona dove abita la sorella di Tino. Al rientro, gli sposi abitano nella casa di lui, ma in un piccolo appartamento da indipendenti.
Lasciata la panetteria, per qualche tempo Nina è commessa a Carmagnola, da Osella, in un negozio di bomboniere, sotto i portici, prima di piazza Sant’Agostino, a destra. Si sposta in bicicletta, mezzo che ha sempre usato anche per tragitti più lunghi. Nel 1950 nasce Michela. Successivamente gestisce a Saluzzo un negozio della Talmone (cioccolato), dove si occupa non solo della vendita dei prodotti ma anche delle confezioni-regalo utilizzando l’oggettistica fornita dalla sede. Raggiunge Saluzzo con il tramway. Viene a Carignano e gestisce con Rita Griffa la Cooperativa Torinese, in via Vittorio Veneto angolo via Quaranta, casa Demichelis, dopo il 1955, quando, nella panetteria di fronte, Facta era già subentrato ad Orticelli. Il loro compenso è una percentuale sugli incassi, redigono l’ordine dei prodotti necessari che vengono forniti settimanalmente ed effettuano registrazioni varie, inventario ogni tre mesi. Vendono sfusi caffè, zucchero, pasta, riso, olio e vino. Tra gli affettati, il più richiesto era il salame cotto e poi frutta, verdura e, immancabile, l’insalata russa. Dal 1960-61 per alcuni anni le aiuta Laura Alasia (poi sposata Settimo).Qui Nina rimane fino alla nascita della seconda figlia, Gemma, nel 1963, ma torna di tanto in tanto a “dare una mano” nei giorni precedenti le festività importanti e di quel periodo ricorda Adriana Benedetto (poi sposata Grosso).
Il signor Marchisio da tempo era Ispettore per l’Alleanza Cooperativa: viaggia molto per il controllo delle filiali. Quando si era presentata l’opportunità del lavoro a Carignano, avevano scelto di costruirsi la casa in via Vittone, dove tuttora Nina vive. Dopo la scomparsa di Tino, nel 2011, una signora le fa compagnia e si prende cura di lei, della casa e del giardino. Tutte le mattine si esercita sulla cyclette ed al pomeriggio esce, accompagnata, per una passeggiata, anche in pieno inverno, ben coperta, sempre vestita di colori chiari. Lucidissima, parla volentieri e la sua voce al telefono è particolarmente squillante; mette gli occhiali solo per leggere; mangia di tutto, da sempre, “quel che conta è che sia cucinato bene” afferma e prosegue “Non mi è mai piaciuto mettermi in ghingheri, ma quando ci siamo sposati Tino mi aveva regalato un anello con perle, un collier, braccialetto, catenina e orecchini ma ora è tutto nella cassetta di sicurezza”. Mi permetto un ricordo di questa coppia, a braccetto, con abiti di sobria eleganza e lui, spesso, con il particolare tocco del papillon. Hanno festeggiato le nozze di diamante (60 anni di matrimonio) con le due figlie ed i nipoti Gabriele (laureando in medicina) e Maura (ha un negozio di abiti da sposa a Torino) che li ha resi bisnonni di Gianluca, Carolina e Jacopo, rispettivamente di 21, 12 e 10 anni.
Segue su Rai1 il telegiornale tutte le sere e programmi di quiz o intrattenimento: ora, concluso “I soliti ignoti” è in attesa de “L’eredità”. Legge molto e, con assiduità, ritira i libri dalla Biblioteca Civica: tra gli ultimi i romanzi “Quando tutto tornerà come non è mai stato” di Joachim Meyerhoft , “Scusa se ti voglio sposare” di Federico Moccia e “Cent’anni di solitudine” di Garcia Marquez.
Quando ci lasciamo Nina Marchisio  mi regala un abbraccio ed un dolce sorriso ed io le auguro di continuare così per tanti anni ancora.

Marilena Cavallero

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