Il latte dei sogni a Venezia, apre la Biennale d’Arte di Venezia ai Giardini e all’Arsenale

Biennale Arte 2019

Inaugura sabato 23 aprile, e sarà aperta al pubblico fino a domenica 27 novembre ai Giardini e all’Arsenale, la 59. Esposizione Internazionale d’Arte dal titolo Il latte dei sogni, a cura di Cecilia Alemani, organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Roberto Cicutto.

La Mostra include 213 artiste e artisti provenienti da 58 nazioni. Gli artisti italiani sono 26 , 180 le prime partecipazioni, 1433 le opere e gli oggetti esposti, 80 le nuove produzioni.

“La mostra Il latte dei sognispiega Cecilia Alemani prende il titolo da un libro di favole di Leonora Carrington (1917-2011), in cui l’artista surrealista descrive un mondo magico nel quale la vita viene costantemente reinventata attraverso il prisma dell’immaginazione e nel quale è concesso cambiare, trasformarsi, diventare altri da sé. È un universo libero e pieno di infinite possibilità, ma è anche l’allegoria di un secolo che impone una pressione intollerabile sull’identità, forzando Carrington a vivere come un’esiliata, rinchiusa in ospedali psichiatrici, perenne oggetto di fascinazione e desiderio ma anche figura di rara forza e mistero, sempre in fuga dalle costrizioni di un’identità fissa e coerente. A chi le chiedesse quando fosse nata, Carrington rispondeva che era stata generata dall’incontro tra sua madre e una macchina, in una bizzarra comunione di umano, animale e meccanico che contraddistingue molte delle sue opere. L’esposizione Il latte dei sogni sceglie le creature fantastiche di Carrington, insieme a molte altre figure della trasformazione, come compagne di un viaggio immaginario attraverso le metamorfosi dei corpi e delle definizioni dell’umano. La mostra nasce dalle numerose conversazioni intercorse con molte artiste e artisti in questi ultimi mesi. Da questi dialoghi sono emerse con insistenza molte domande che evocano non solo questo preciso momento storico in cui la sopravvivenza stessa dell’umanità è minacciata, ma riassumono anche molte altre questioni che hanno dominato le scienze, le arti e i miti del nostro tempo. Come sta cambiando la definizione di umano? Quali sono le differenze che separano il vegetale, l’animale, l’umano e il non-umano? Quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili, delle altre forme di vita e del pianeta che abitiamo? E come sarebbe la vita senza di noi? Questi sono alcuni degli interrogativi che fanno da guida a questa edizione della Biennale Arte, la cui ricerca si concentra in particolare attorno a tre aree tematiche: la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi; la relazione tra gli individui e le tecnologie; i legami che si intrecciano tra i corpi e la Terra. Molte artiste e artisti contemporanei stanno immaginando una condizione postumana, mettendo in discussione la visione moderna e occidentale dell’essere umano – in particolare la presunta idea universale di un soggetto bianco e maschio, “uomo della ragione” – come il centro dell’universo e come misura di tutte le cose. Al suo posto, contrappongono mondi fatti di nuove alleanze tra specie diverse, abitati da esseri permeabili, ibridi e molteplici, come le creature fantastiche inventate da Carrington. Sotto la pressione di tecnologie sempre più invasive, i confini tra corpi e oggetti sono stati completamente trasformati, imponendo profonde mutazioni che ridisegnano nuove forme di soggettività e nuove anatomie. Oggi il mondo appare drammaticamente diviso tra ottimismo tecnologico – che promette il perfezionamento all’infinito del corpo umano attraverso la scienza – e lo spettro di una totale presa di controllo da parte delle macchine per mezzo dell’automazione e dell’intelligenza artificiale. Questa frattura si è acuita ulteriormente con la pandemia da Covid-19, che ha intensificato ulteriormente le distanze sociali e ha intrappolato gran parte delle interazioni umane dietro le superfici di schermi e dispositivi elettronici. La pressione della tecnologia, l’acutizzarsi di tensioni sociali, lo scoppio della pandemia e la minaccia di incipienti disastri ambientali ci ricordano ogni giorno che, in quanto corpi mortali, non siamo né invincibili né autosufficienti, piuttosto siamo parte di un sistema di dipendenze simbiotiche che ci legano gli uni con gli altri, ad altre specie e all’intero pianeta. In questo clima, sono molte le artiste e gli artisti che ritraggono la fine dell’antropocentrismo, celebrando una nuova comunione con il non-umano, con l’animale e con la Terra, esaltando un senso di affinità fra specie e tra l’organico e l’inorganico, l’animato e l’inanimato. Altri reagiscono alla dissoluzione di presunti sistemi universali riscoprendo forme di conoscenza locali e nuove politiche identitarie. Altri ancora praticano ciò che la filosofa femminista Silvia Federici descrive come il “re-incantesimo del mondo”, mescolando saperi indigeni e mitologie individuali, in modi non dissimili da quelli immaginati da Leonora Carrington”. (www.labiennale.org/it/arte/2022/59-esposizione).

Nel 2019

 




 

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