L’Accademia Corale Stefano Tempia 1875 apre la stagione in Duomo con “Boccherini e Haydn due geni a confronto”

Larissa Yudina
Si aprirà sabato 15 ottobre, alle ore 21, nella cattedrale di San Giovanni Battista a Torino (piazza San Giovanni) la stagione musicale dell’Accademia Corale Stefano Tempia 1875. Il Coro diretto dal maestro Luigi Cociglio e l’Orchestra diretta dal maestro Antonmario Semolini, con il soprano Larissa Yudina, proporranno “Boccherini e Haydn due geni a confronto”.

Luigi Cociglio

Antonmario Semolini
Il programma è il seguente.
Luigi Boccherini (1743-1805)
Sinfonia in do maggiore op. 37 n. 1 G. 515
Allegro con moto – Menuetto con un poco di moto – Andante – Allegro vivo assai
Sinfonia in la maggiore op. 37 n. 4 G. 518
Allegro spirituoso – Menuetto. Allegro – Andante – Allegro ma non presto
Sinfonia in re minore (la divina)
- 37 n. 3 G. 517
Allegro moderato – Minuetto. Con moto – Andante amoroso – Finale. Allegro vivo ma non presto
Franz Joseph Haydn (1732-1809)
Missa brevis Sancti Joannis de Deo Hob. XXII:7 per soprano, coro, archi, organo
Kyrie – Gloria – Credo – Sanctus – Benedictus – Agnus Dei
Ingresso a offerta a partire da 10 euro. Per prenotazioni e informazioni dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12.30 telefonare al numero 011.0209882 oppure scrivere a segreteria@stefanotempia.it
Luigi Boccherini (Lucca, 19 febbraio 1743 – Madrid, 28 maggio 1805) è stato una figura cruciale nel passaggio dallo stile galante, che si sviluppa a partire dalla seconda metà del Settecento quale reazione al barocco, al classicismo più pieno e maturo. Boccherini è stato attivo prevalentemente nel campo della musica strumentale: il suo lascito annovera infatti una quantità pressoché incalcolabile di composizioni cameristiche tra sonate, trii, quartetti, quintetti (tra i quali spiccano quelli con due violoncelli, combinazione da lui portata al massimo splendore), sestetti e ottetti, cui si aggiungono una ventina di concerti per violoncello e una trentina di sinfonie. Proprio in quest’ultimo ambito egli è uno dei principali artefici dell’evoluzione della sinfonia a partire dal concerto grosso, processo che troverà il suo pieno compimento nell’opera di Franz Joseph Haydn e di Wolfgang Amadeus Mozart.
Le sinfonie op. 37, di cui in questo concerto si ascolterà un’esecuzione integrale, testimoniano in pieno questa transizione dal modello del concerto all’italiana verso il modello della sinfonia viennese. Scritte durante la permanenza a Madrid presso la contessa Benavente, furono dedicate a Federico Guglielmo II di Prussia, che aveva appena fregiato Boccherini del titolo di compositore di corte. Si tratta di un gruppo di quattro sinfonie che furono inviate in dono al sovrano prussiano ed entrarono così a far parte della sua biblioteca privata; conservate successivamente presso la Biblioteca di Stato di Berlino, durante la Seconda Guerra Mondiale andarono disperse. La seconda sinfonia, l’unica a essere inedita, deve essere, allo stato attuale delle ricerche, considerata perduta per sempre, non essendo infatti nemmeno ricostruibile a partire dai materiali d’orchestra. Se ne conosce solo l’incipit del primo tempo, riportato nel catalogo delle proprie composizioni che Boccherini spedì all’editore Pleyel di Parigi.
La sinfonia in do maggiore op. 37 n. 1 G515 è la più breve del gruppo ed è quella in cui la transizione verso il modello viennese non è ancora del tutto compiuta: forse non è un caso che lo stesso Boccherini abbia attribuito a questa sinfonia e a quella dispersa il titolo di “Concerto”, riservando quello di “Sinfonia” alle altre due sorelle, che sono invece caratterizzate da una maggiore ambizione sul piano formale. Il primo tempo (Allegro con moto) adotta il bitematismo caratteristico delle sinfonie viennesi, ma Boccherini sembra più interessato alla fluidità del discorso musicale che alla complessità dell’elaborazione tematica. Il minuetto (Con un poco di moto) è una pagina deliziosa e piena di brio che sembra guardare al modello di Haydn. Il trio, in tonalità minore, si apre poi però a una malinconica cantabilità. Il terzo movimento (Lento) è il cuore espressivo della sinfonia. Esso è aperto da una frase dell’oboe che si slancia verso l’acuto per poi ripiegarsi su sé stessa con una sequenza cromatica discendente che, in ambito barocco e classico, è associata a sentimenti quali il dolore, la sofferenza e la morte. Nel prosieguo del movimento, l’oboe lascia la parola al violoncello, lo strumento di elezione di Boccherini, e il clima da mesto diventa malinconico ed elegiaco. Come ha osservato Della Croce, “questa conquista della felicità intuita poco a poco […] è quasi esclusiva di Boccherini” e ci dice qualcosa dell’atteggiamento del compositore nei confronti dell’esistenza umana. Il ritorno della melodia dell’oboe segna la ripresa della sezione iniziale e prepara il terreno alla transizione all’ultimo movimento (Allegro vivo assai), che rapidamente chiude la sinfonia.
Con la sinfonia in re minore op. 37 n. 3 G517 e con la sorella in la maggiore op. 37 n. 4 G518 può dirsi compiuta la transizione della sinfonia verso il modello viennese. Lo testimoniano sia la grande ambizione sul piano formale, che emerge in particolare nella dilatazione delle proporzioni e nella ricchezza dell’elaborazione tematica, sia l’uso delle masse orchestrali, ormai svincolate dalle dinamiche di contrapposizione tra concertino e concerto grosso tipiche dello stile italiano. Va a questo proposito osservato che le sinfonie dell’op. 37 chiamano in causa un organico molto ampio per gli standard dell’epoca, che alla massa degli archi (con due parti reali di viola) aggiunge una compagine di legni costituita da un flauto, due oboi, due fagotti e due corni. Val la pena osservare come molte importanti opere di Haydn e di Mozart siano scritte per questo stesso organico, che, prima della messa a punto dei clarinetti, era tra i più ampi sui quali un compositore potesse contare. Boccherini, che all’epoca della composizione di queste sinfonie si trovava presso la contessa Benavente e scriveva avendo in mente l’orchestra del suo palazzo, sfrutta tutte le risorse timbriche che derivano dall’uso di un organico così ampio e vario. Spesso inserisce dei passaggi a solo per valorizzare le qualità degli strumenti a fiato e delle prime parti della sezione degli archi.
La sinfonia in re minore si apre con un primo tempo (Allegro moderato) che è rimarchevole per la ricchezza dell’elaborazione tematica: la costante alternanza tra modo maggiore e modo minore che lo caratterizza lo rende uno dei movimenti più rappresentativi dell’arte di Boccherini. Alla fine prenderà il sopravvento il colore più scuro del modo minore e il movimento si chiuderà con una coda caratterizzata dal proliferare della formula cromatica discendente associata al dolore che avevamo già trovato nel movimento lento della prima sinfonia. Il minuetto (con moto) si apre con un appello dei due corni e ha un tono cupo e serioso. Il trio a causa della sua estensione non è propriamente una sua propaggine ma una vera e propria sezione autonoma dotata di carattere contrastante. È azzeccatissima, e molto poetica, l’intuizione di Della Croce, che osserva come “dal re minore del minuetto al re maggiore del trio, è come un passaggio da un bosco a un giardino pieno di fermenti canori”. Il successivo Andante amoroso è caratterizzato da un tono pastorale: è aperto da una melodia cantabile dell’oboe che lascia poi spazio a una sezione centrale dal carattere più cupo, in tonalità minore, al quale contribuisce il timbro lamentoso di oboi e fagotti. Nel movimento finale (Allegro vivo ma non presto), che conclude rapidamente la sinfonia, ritorna quell’oscillazione tra modo maggiore e minore che aveva caratterizzato il primo tempo.
La stima di cui Boccherini godette in vita è ben nota ed è sintetizzata dall’appellativo di divino Boccherini con il quale alcuni i suoi contemporanei, nonché alcuni suoi colleghi del calibro di Haydn e Mozart, solevano riferirsi a lui. La sinfonia in la maggiore testimonia che la stima era reciproca o, se non altro, che Boccherini era perfettamente al corrente degli sviluppi in ambito sinfonico portati avanti dai suoi colleghi viennesi: questa è infatti, tra le sinfonie dell’op. 37, quella in cui l’influenza di Haydn è maggiormente evidente. Della Croce ha ricostruito come fosse intenzione della contessa Benavente “stipulare con il compositore di Esterházy un vero e proprio contratto che lo obbligasse, in maniera assoluta e vincolante, a riservarle l’esclusiva di una parte della sua produzione, ma riuscì a strappargli solo la promessa – mantenuta per un periodo non lungo – di inviarle ogni anno la copia di una dozzine di sue opere”. È stato probabilmente in queste circostanze che Boccherini è venuto in contatto con le sinfonie n. 88 e n. 89 del compositore austriaco. La sinfonia si apre con un primo movimento (Allegro spirituoso [sic]) nel quale lo sviluppo tematico è condotto in maniera magistrale e assolutamente personale: lo testimonia per esempio la ripresa, durante la quale il secondo tema è rimpiazzato da uno spunto tematico inedito. Il minuetto (Allegro) e il successivo Andante sono due pagine in cui maggiormente emerge il desiderio di Boccherini di valorizzare le qualità degli strumentisti dell’orchestra che era stata messa a sua disposizione presso la contessa Benavente: così il trio del minuetto è affidato ai gorgheggi del flauto, accompagnato da due violini e una viola, mentre nella prima sezione dell’Andante i protagonisti sono l’oboe e il succitato trio d’archi, che in questo caso non si limita a una funzione di mero accompagnamento ma bensì funge da prolungamento melodico e timbrico dello strumento ad ancia. Il finale (Allegro vivo ma non presto) è il movimento in cui maggiormente traspare l’indebitamento di Boccherini con il modello dato dalla Sinfonia n. 88 di Haydn: lo testimoniano le somiglianze sia sul piano della forma sia sul piano tematico.
Anche allo scopo di rimarcare la rete di influenze reciproche tra Boccherini e i suoi colleghi viennesi, il concerto prevede infine l’esecuzione della Missa Brevis Sancti Johannis de Deo, in si bemolle maggiore Hob. XXII n. 7, di Franz Joseph Haydn (Rohrau, 31 marzo 1732 – Vienna, 31 maggio 1809). Egli la scrisse per l’ordine ospedaliero dei Fatebenefratelli (il cui patrono è San Giovanni di Dio) della località di Eisenstadt, presso la quale si trovava al servizio del Principe di Esterházy. A differenza di alcune Missae Breves che debbono la loro brevità all’omissione di alcune sezioni dell’Ordinarium Missae (com’è il caso delle quattro Missae Breves composte da Johann Sebastian Bach, che mettono in musica esclusivamente il Kyrie e il Gloria), in questo caso la brevità è ottenuta con una tecnica che prevede l’esposizione simultanea, da parte delle quattro voci che formano il coro, di differenti sezioni di un dato testo. È evidente che in questo modo la comprensione del testo è seriamente compromessa; ma si tratta di una perdita non grave se consideriamo, come ha acutamente osservato Luciano Berio, che il testo della Messa è quello che i compositori occidentali hanno maggiormente messo in musica ed è quindi da considerarsi ben noto. Alla brevità della composizione corrisponde anche una maggiore economia di mezzi strumentali: la messa è infatti destinata (oltre che a una voce solista, un soprano, e a un coro misto a quattro voci) a un organico strumentale composto solamente da due parti di violino e una di basso. A questa esigua forza strumentale si aggiunge l’organo, impegnato in particolare in un esteso passaggio a solo nel Benedictus. L’appellativo di Kleine Orgelmesse con cui questa messa è anche conosciuta allude quindi alla compattezza della struttura e alla riduzione della compagine strumentale, mentre sembra meno plausibile (per mere questioni grammaticali) che l’aggettivo Kleine si riferisca al fatto che la parte d’organo era stata in origine suonata (dallo stesso Haydn) sullo strumento dell’ospedale della confraternita dei Fatebenefratelli di Eisenstadt: un piccolo organo positivo sprovvisto di pedale.
(nota di sala di Danilo Karim Kaddouri)