GENNAIO 2025 IL NOTAIO RISPONDE A cura del notaio Gabriele Naddeo www.notaionaddeo.it – www.gabrielenaddeo.it
IL NOTAIO RISPONDE – GENNAIO 2025
A cura del notaio Gabriele Naddeo
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– La mia casa è stata oggetto di intervento con il superbonus 110 per cento. Vorrei venderla, il fatto che sono stati eseguiti dei lavori va segnalato durante il rogito?
Il fatto che la casa del lettore sia stata oggetto di intervento super bonus 110 per cento deve essere menzionato in atto per due ordini di motivi: uno inerente la normativa edilizia ed urbanistica vigente e l’altro riguardante l’aspetto fiscale della cosiddetta plusvalenza. Quanto al primo aspetto, con ogni probabilità, per effettuare i lavori di ristrutturazione sulla casa del lettore quest’ultimo, attraverso i suoi professionisti (geometra, architetto o ingegnere, o altri), deve aver presentato gli idonei progetti e le idonee pratiche al Comune competente, affinché fosse autorizzato o, comunque, potesse svolgere le operazioni di ristrutturazione e gli interventi edilizi programmati per il super bonus; nell’atto di compravendita immobiliare, infatti, a pena di nullità vanno menzionate tutte le pratiche urbanistiche inerenti l’immobile compravenduto. Per quanto riguarda, invece, la normativa fiscale, si deve far presente che in caso di vendita di immobile oggetto di ristrutturazione attraverso il super bonus 110%, qualora essa avvenga entro 10 anni dalla conclusione dei lavori, il venditore-contribuente è tenuto al pagamento della plusvalenza, ossia di un’imposta che come base imponibile avrà la differenza tra il valore iniziale e il valore finale dell’immobile: in altri termini, se Tizio compra una casa e la paga 100.000 euro e, dopo gli interventi con il super bonus questa acquista un valore di 200.000 euro e la vende a tale importo, dovrà pagare le tasse sulla differenza di valore, ossia 100.000 euro. L’aliquota di riferimento è quella propria del contribuente in caso di dichiarazione dei redditi, a meno che non voglia pagare l’imposta sostitutiva in sede d’atto pari al 26%. La normativa inerente la plusvalenza da super bonus, è opportuno farlo presente, sta dando adito a molte controversie e dubbi interpretativi anche da parte della stessa agenzia delle entrate e, pertanto, bisogna essere molto prudenti al momento della rivendita di un bene ristrutturato con il super bonus.
– Siamo quattro fratelli impegnati con la successione di nostra mamma. Vorremmo fare l’inventario dei beni. Entro quanto tempo va effettuato e chi se ne occupa?
Molto dipende dal motivo per cui il lettore i suoi fratelli vogliono predisporre l’inventario. In ambito successorio, infatti, l’inventario diventa obbligatorio nel momento in cui si vuole procedere con la cosiddetta “accettazione con beneficio di inventario“ per la quale è prevista oltre che un’accettazione, come dice il termine stesso, anche la redazione di un inventario. In questo caso, il codice civile pone termini perentori che andiamo qui di seguito vedere: atto di accettazione col beneficio di inventario entro tre mesi dal momento dell’apertura della successione (coincidente con la data della morte) e redazione dell’inventario entro i successivi tre mesi, con possibilità di proroga, concessa dall’autorità giudiziaria, qualora sia provato che non vi era la possibilità di concludere l’inventario nei termini originari; se il chiamato all’eredità, invece, è nel possesso dei beni ereditari, il termine di tre mesi per la redazione dell’inventario scatta a partire dall’apertura della successione. Fuori dal dal caso dell’accettazione con beneficio di inventario, invece, non ci sono obblighi particolari e, pertanto, qualora la volontà del lettore e dei suoi fratelli sia quella di operare una cernita dell’asse ereditario in modo tale da poter meglio dividere il patrimonio della madre, in questo caso non ci sono termini da rispettare salvo quello ordinario di prescrizione del diritto di accettare l’eredità, di 10 anni.
– La casa dove abito mi è stata concessa da mio padre sotto forma di usufrutto. Posso affittarla? A chi vanno i proventi della locazione?
Il diritto di usufrutto concede la facoltà al proprio titolare, vi usare il bene concesso (uso), nei limiti imposti dalla legge tra cui, ad esempio, la destinazione economica del bene; e di ricavarne i frutti (frutto) che, nel caso di un immobile, ad esempio, coincidono con i proventi di una locazione. Il lettore, pertanto, ben potrà affittare la casa concesso in usufrutto e i relativi canoni rimarranno a suo vantaggio.
– È vero che il legato testamentario non risponde dei debiti lasciati in vita dal defunto?
La domanda del lettore trova risposta affermativa. Il legato, a differenza della nomina ad erede – che prevede un ingresso nel patrimonio del defunto a 360 gradi – dunque, comprensivo di crediti e debiti, è un lascito a titolo cosiddetto “particolare“ e si identifica esclusivamente con quanto contenuto nel legato stesso. Non a caso, il legislatore dispone che l’adempimento dei legati sia a carico della eredità e, pertanto, saranno gli eredi che dovranno, con il patrimonio ereditario, provvedere a soddisfare i legati e a pagare i debiti.
– Dei beni immobili confluiti e gestiti da una società semplice possono essere venduti normalmente o ci sono dei lacci normativi?
Una società semplice è un soggetto giuridico a sé, a tutti gli effetti, e più in particolare è una cosiddetta persona giuridica (come tutte le società, le associazioni, le fondazioni, le cooperative e così via). La legge non prevede particolari vincoli per procedere alla disposizione di un bene appartenente ad una società semplice, se non quelli previsti per ogni soggetto come, ad esempio, la titolarità del bene e la volontà dei soci di alienare il bene. Qualora, dunque, si dovesse procedere all’alienazione di un bene appartenente ad una società semplice, bisogna verificare che non ci siano dei vincoli normativi inerenti il bene in sé e che il rappresentante della società abbia gli adeguati poteri, o da statuto, oppure da apposita autorizzazione conferitagli dei soci.
– Sto andando ad abitare in un appartamento realizzato in un condominio costruito da poco. E’ Obbligatoria la stesura di un regolamento di condominio?
L’articolo 1138, comma 1, del Codice Civile, dispone che: “Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione”. Dipende, pertanto, dal mero dei condomini. Esistono due tipologie di regolamento condominiale: quello assembleare, peraltro disciplinato dal medesimo articolo 1138 c.c., approvato in assemblea con la maggioranza dei voti e dei millesimi, che può disciplinare solo l’uso delle parti comuni; quello contrattuale, solitamente redatto dal costruttore o, più difficilmente, approvato all’unanimità dai condomini, che può disciplinare anche l’uso delle proprietà individuali.
NOVITA’ GIURISPRUDENZIALI
CONTRATTO PRELIMINARE. Cassazione, ordinanza 6 marzo 2024, n. 5976, sez. II civile. CONTRATTI – VENDITA – Compravendita immobiliare – Contratto preliminare – Effetti subordinati a condizione sospensione potestativa mista – A che il promissario acquirente ottenga il titolo abilitativo urbanistico dall’amministrazione – Eventuale omissione – Contrarietà a buona fede – Non sussiste – Avveramento fittizio della condizione – Non sussiste. Nel caso in cui le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un ente pubblico la necessaria autorizzazione amministrativa, la relativa condizione è qualificabile come “mista”, dipendendo la concessione dei titoli abilitativi urbanistici non solo dalla volontà della pubblica amministrazione, ma anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la relativa pratica, sicché la mancata concessione del titolo comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell’articolo 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché tale disposizione è inapplicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch’essa interesse all’avveramento della condizione, sia perché l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico e la sussistenza di siffatto obbligo deve escludersi per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista, con conseguente esclusione dell’obbligo di considerare avverata la condizione.
CONTRATTO PRELIMINARE. Cassazione, ordinanza 1 marzo 2024, n. 5536, sez. II civile. CONTRATTI – VENDITA – Immobiliare – Contratto preliminare – Oggetto del negozio determinabile – Validità – Indicazione dei dati catastali – Necessità – Esclusione. Con questa ordinanza, la Corte richiama il concetto di relatio formale, applicandolo al contratto preliminare, ed afferma che, ai fini della validità del contratto medesimo, con riguardo ai contratti ad effetti reali o obbligatori, relativi ad immobili, non è indispensabile l’indicazione dei confini e dei dati catastali, essendo sufficiente qualunque criterio idoneo ad identificare il bene in modo univoco. Richiama, al riguardo la propria sentenza (tra l’altro della medesima Sezione) numero 7079 del 22/06/1995, secondo cui “Il requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto di un contratto preliminare relativo a bene immobile non postula la necessaria indicazione dei numeri del catasto o delle mappe censuarie e di tre almeno dei suoi confini – che sono indicazioni rilevanti ai fini della trascrizione (art. 2659 n. 4 e 2826 cod.civ.) – quando, pur in mancanza delle tali indicazioni, l’oggetto del contratto può essere determinato in base alle altre clausole del contratto medesimo”. Tale assunto, tuttavia, non può trovare applicazione laddove l’identificazione dell’oggetto del preliminare afferisca ad una pronuncia giudiziale ai sensi dell’articolo 2932 del Codice Civile. In tal caso, infatti, occorre che, nel preliminare stesso, l’immobile sia esattamente precisato con indicazione dei relativi confini e dati catastali, e che siano riportate tutte le dichiarazioni che servirebbe inserire nel contratto definitivo, dovendo la sentenza corrispondere esattamente al contenuto del contratto definitivo medesimo. Ciò in quanto la sentenza non può attingere da altra documentazione i dati necessari alla specificazione del bene oggetto del trasferimento (sul punto la Corte richiama Cass. 952/2013). Al di là di tale aspetto, in realtà di carattere pratico che non incide comunque sulla validità bensì solo sull’utilizzabilità del contratto preliminare, non è indispensabile la completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del futuro contratto, risultando sufficiente l’accordo delle parti su quelli essenziali. In particolare, nel preliminare di compravendita immobiliare, per il quale è richiesto “ex lege” l’atto scritto come per il definitivo, è sufficiente che dal documento risulti, anche attraverso il rimando ad elementi esterni ma idonei a consentirne l’identificazione in modo inequivoco, che le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, la cui indicazione pertanto, attraverso gli ordinari elementi identificativi richiesti per il definitivo, può altresì essere incompleta o mancare del tutto, purché l’intervenuta convergenza delle volontà risulti, sia pure “aliunde” o “per relationem”, logicamente ricostruibile (Cass. 11297/2018).
DIRITTI REALI E DI GODIMENTO PERSONALE. Cassazione, sentenza 5 marzo 2024, n. 5833, sez. II civile. DIRITTI REALI – SERVITÙ – Di passaggio – Assenza di predialità – Rapporto obbligatorio – Configurabilità – Sussistenza. La Corte di Cassazione, con questa sentenza, richiamando peraltro una molto recente pronuncia delle Sezioni Unite, conferma in maniera chiara la differenza tra diritto reale ed obbligazione personale, con particolare riguardo alla servitù prediale. Afferma la Corte che essa si distingue dall’obbligazione meramente personale, essendo requisito essenziale della servitù l’imposizione di un peso su di un fondo (servente) per l’utilità ovvero per la maggiore comodità o amenità di un altro (dominante) in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una qualitas inseparabile di entrambi, mentre si versa nell’ipotesi del semplice obbligo personale quando il diritto attribuito sia stato previsto esclusivamente per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo e senza alcuna funzione di utilità fondiaria (Cass. SU 3925 del 13/02/2024; Cass. 29/08/1991, n. 9232). Nella prima, in altri termini, rileva il rapporto con i fondi (con le res), mentre nella seconda rileva il rapporto tra i soggetti: la differenza maggiore riguarda il fatto che in caso di diritto reale, esso permane a prescindere da chi siano i titolari dei fondi ed a prescindere dal loro avvicendarsi, mentre in caso di diritto personale, esso vale solo tra chi lo ha pattuito, e non per gli aventi causa, a meno che non lo abbiano accettato e pattuito espressamente. La predialità o realità che caratterizza la servitù “implica dunque l’esistenza di un legame strumentale ed oggettivo, diretto ed immediato, tra il peso imposto al fondo servente ed il godimento del fondo dominante, nella sua concreta destinazione e conformazione, al fine di incrementarne l’utilizzazione, sì che l’incremento di utilizzazione deve poter essere conseguito da chiunque sia proprietario del fondo dominante e non essere legato ad una attività personale del soggetto” (Cass. SU 3925/2024). Limitazioni del diritto di proprietà funzionali ad interessi soggettivi ma che non diano vantaggio ad un fondo possono essere pattuite in virtù del principio dell’autonomia negoziale (art. 1322 c.c.), risolvendosi tuttavia in un rapporto obbligatorio insuscettibile di tutela reale (Cass. Sez. 2, Sentenza 3091 del 11/02/2014; Cass. 2651/2010).