La Maturità 2025 è iniziata, prima prova scritta in corso – Pasolini, “Il Gattopardo” e Borsellino tra le tracce per il tema di italiano
La Maturità è iniziata. La prima prova scritta degli Esami di Stato 2025, quella del tema di italiano, è in corso. Gli studenti hanno sette tracce tra cui scegliere: per la tipologia A (analisi del testo) Paolo Pasolini e Giuseppe Tomasi di Lampedusa; per la tipologia B (testo argomentativo) Piers Brendon, Riccardo Maccioni e Telmo Pievani gli autori proposti:; per la tipologia C (testo di attualità )il mondo social e il messaggio di Paolo Borsellino “I giovani, la mia speranza”. Nel dettaglio: Pier Paolo Pasolini, “Appendice I a ‘Del Diario’ (1943-1944)” da “Tutte le Poesie“, a cura di Walter Siti (2009); Giuseppe Tomasi da Lampedusa, “Il Gattopardo”, il brano che descrive la visita di Angelica, fidanzata di Tancredi, alla famiglia dei principi di Salina ; Piers Brendon, “Gli anni trenta, il decennio che sconvolse il mondo” (Carocci, 2005); Riccardo Maccioni, “Rispetto” è la parola dell’anno Treccani (Avvenire, 17/12/2024); Telmo Pievani, “Un quarto d’era (geologica) di celebrità” (Feltrinelli, 2022) ; Paolo Borsellino, “I giovani, la mia speranza” (Epoca, 14/10/1992); Anna Meldolesi e Chiara Lalli, “L’indignazione è il motore del mondo social. Ma serve a qualcosa?” (7-Sette, 13/12/2024).
- La poesia di Pasolini:
Mi ritrovo in questa stanza
col volto di ragazzo, e adolescente,
e ora uomo. Ma intorno a me non muta
il silenzio e il biancore sopra i muri
un medesimo mondo. Ma è mutato
il cuore; e dopo poche notti è stinta
tutta quella luce che dal cielo
riarde la campagna, e mille lune
non son bastate a illudermi di un tempo
che veramente fosse mio. Un breve arco
segna in cielo la luna. Volgo il capo
e la vedo discesa, e ferma, come
inesistente nella stanca luce.
E così la rispecchia la campagna
scura e serena. Credo tutto esausto
di quel perfetto inganno: ed ecco pare
farsi nuova la luna, e – all’improvviso –
cantare quieti i grilli il canto antico.
- Il brano dal “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa:
«La prima visita di Angelica alla famiglia Salina, da fidanzata, si era svolta regolata da una regia impeccabile, e le comunicazioni lente ed astratte erano state perfette a tal punto che sembrava suggerito parole per parola dal “Galateo”. A fine di una settimana il soggiorno era terminato improvvisamente: nessuno dei presenti aveva potuto dire se la partenza di Angelica fosse stata imposta o decisa: il quale atto di suprema padronanza del meccanismo domestico lasciava tutti ammirati. La seconda visita, quella che ora si stava per compiere, era invece destinata ad essere ben diversa: la presenza di Tancredi, la sua intimità con Angelica, la loro reciproca indifferenza per il principio, che aveva presieduto la prima visita, avrebbero dato a questa un tono ben diverso: le soffici trine ricoperte di polvere, le poltrone imbottite di crine, i tappeti sbiaditi, i ritratti di famiglia, tutto avrebbe avuto un aspetto meno solenne, più umano, più caldo. Angelica era giunta, e la sua bellezza, la sua grazia, la sua intelligenza, la sua ricchezza, avevano fatto dimenticare a tutti la sua origine borghese. Don Fabrizio, che aveva sempre avuto un debole per la bellezza femminile, si sentiva già preso dal fascino di quella ragazza, e si era già affezionato a lei come a una figlia. Angelica si sentiva perfettamente a suo agio, e il suo affetto per Tancredi si rifletteva in una gentilezza particolare verso tutti i membri della famiglia. La principessa, che aveva accolto Angelica con una certa freddezza, si era lasciata conquistare dalla sua dolcezza e dalla sua vivacità. Solo Concetta, la figlia maggiore, continuava a guardarla con una certa diffidenza, ma anche lei, a poco a poco, si lasciava vincere dal fascino della nuova venuta. Si avvicinava così il momento della partenza, e tutti sentivano che quella visita aveva segnato l’inizio di una nuova epoca per la famiglia Salina. “Sono fatti che fanno epoca”, pensava don Fabrizio, e si sentiva un po’ più vecchio, un po’ più stanco, ma anche un po’ più sereno. “Zione”: Angelica lo chiamava così, e in quella parola c’era tutto l’affetto, tutta la riconoscenza, tutta la fiducia che la ragazza sentiva per lui. Don Calogero, il padre di Angelica, era soddisfatto: la figlia era stata accolta come una principessa, e lui stesso si era sentito trattato con rispetto e considerazione. Solo la moglie di don Calogero, una donna timida e riservata, era rimasta un po’ in disparte, ma nessuno sembrava farci caso. Don Calogero, per parte sua, si preoccupava di apparire sempre all’altezza della situazione, e per questo motivo, quando qualcuno gli chiedeva notizie della moglie, rispondeva con frasi vaghe e rassicuranti, senza mai entrare nei particolari. In realtà, la povera donna soffriva di una malattia cronica che la costringeva a vivere quasi sempre in casa, ma don Calogero preferiva non parlarne, per non suscitare compassione o imbarazzo.»