Legambiente sul deposito nazionale dei rifiuti radioattivi: necessario un percorso trasparente, partecipato e condiviso

rifiuti radioattivi

Continuano le reazioni alla notizia dell’eventualità di un sito per lo stoccaggio delle scorie radioattive a Carmagnola:  “La necessità di realizzare un deposito nazionale per lo smaltimento in sicurezza dei nostri rifiuti radioattivi è fuori discussione – dichiara Valentina Chiabrando, presidente del Circolo Legambiente il Platano di Carmagnola – così come affermato dalla Legambiente tutta. Il fatto che Carmagnola rientri fra le 67 aree potenzialmente idonee per la realizzazione del deposito ha però sorpreso l’intero territorio”.

E prosegue: “Sarà necessario un percorso partecipato che coinvolga istituzioni, associazioni, cittadini, tecnici e comunità scientifica per raccogliere il maggior numero di dati affinché la scelta venga fatta tenendo conto anche delle fragilità territoriali e dei danni che causerebbe alle potenzialità agricole della Città. Nei prossimi 60 giorni sarà necessario coordinarsi per portare osservazioni con le opportune basi scientifiche, considerando tutti gli stress a cui il nostro territorio è già sottoposto”

“Dopo sei anni di imperdonabili ritardi è il momento della condivisione e
partecipazione. Serve un cambio di passo per trovare una corretta destinazione per i rifiuti radioattivi a bassa e media intensità, mentre per quelle ad alta intensità serve un deposito europeo – dicono da Legambiente – Lo smaltimento in sicurezza dei nostri rifiuti radioattivi è fondamentale per mettere la parola fine alla stagione del nucleare italiano e per gestire i rifiuti di origine medica, industriale e della ricerca che produciamo ancora oggi. La partita è aperta da tempo, non è semplice ma è urgente trovare una soluzione visto che questi rifiuti sono da decenni in tanti depositi temporanei disseminati in tutta Italia. Per questo dal 2015 abbiamo più volte denunciato il ritardo da parte dei ministeri competenti nella pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee. Ora è necessario che si attivi un vero percorso partecipato, che è mancato finora, per individuare l’area in cui realizzare un unico deposito nazionale, che ospiti esclusivamente le nostre scorie di bassa e media intensità, che continuiamo a produrre, mentre i rifiuti ad alta attività, lascito delle nostre centrali ormai spente grazie al referendum che vincemmo nel 1987, devono essere collocate in un deposito europeo, deciso a livello dell’Unione, su cui è urgente trovare un accordo”. È questo il commento di Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, sulla Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee a ospitare il Deposito Nazionale e Parco Tecnologico (CNAPI), pubblicata oggi dalla Sogin, che individua 67 aree le cui caratteristiche soddisfano i criteri previsti nella Guida Tecnica n. 29 dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) del 2014 e i requisiti indicati nelle linee-guida dell’International Atomic Energy Agency (IAEA).
Già nel 1999 con il dossier “L’eredità radioattiva” Legambiente evidenziò come la stagione del nucleare italiano non fosse finita, “alla luce della pesante eredità delle scorie nucleari collocate in depositi temporanei situati in aree assolutamente inidonee e delle operazioni di smantellamento e bonifica delle vecchie centrali ancora da completare. Per questo nel passato l’associazione ambientalista ha più volte ricordato come il problema degli attuali siti nucleari a rischio non può essere risolto costruendo nuovi depositi in questi stessi siti ma individuando, con trasparenza e oggettività, il sito per una diversa e sicura collocazione di tutti i materiali radioattivi presenti in quelle aree. Il Deposito nazionale (che secondo il Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi dovrà essere realizzato entro il 2025) sarà inoltre funzionale allo smantellamento e alla bonifica delle vecchie centrali nucleari ancora presenti sul territorio nazionale e per gestire i rifiuti prodotti annualmente
negli ospedali, dall’industria e dai centri di ricerca.”
“Il Piemonte ospita oltre l’80% di tutte le scorie nucleari nazionali – dichiara Giorgio Prino, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta – stoccate nei due impianti di Saluggia e Trino. Nei due siti è depositata la grandissima parte delle scorie nazionali ad alta attività, e conseguentemente ad altissima pericolosità. Due siti riconosciuti come inidonei per la vicinanza a fiumi, falde, zone abitate, due siti la cui pericolosità per ecosistema e cittadinanza è assolutamente evidente. Al più presto si deve giungere, ancor prima del 2024, ad un accordo internazionale per il loro trasferimento in quei Paesi che gestiscono già grandi quantitativi di materiali, e che diano tutte le garanzie per trattarli in sicurezza per le persone e per l’ambiente, in attesa del Deposito Unico Europeo. Contestualmente è necessario procedere al
trasferimento di tutti gli altri materiali radioattivi nel Deposito Nazionale, scelto con
oggettività e trasparenza in modo che possa rappresentare la soluzione caratterizzata dal rischio e dall’impatto più basso possibile”.




 

“Il documento CNAPI – continua Giorgio Prino – individua in Piemonte 8 siti (due in provincia di Torino e 6 in provincia di Alessandria). È necessario imbastire un percorso trasparente ed un dialogo completo, partendo dai dati dei rapporti Sogin, con tutti i soggetti territoriali: istituzioni, associazioni, cittadini, tecnici e comunità scientifica. Abbiamo 60 giorni per portare le osservazioni. Lo faremo come sempre basandoci su oggettività scientifiche, in tutela del nostro territorio, delle sue specificità e senza forzature NIMBY”.
“Tutti ricordiamo quello che successe nel 2003 quando l’allora commissario della Sogin e il governo Berlusconi scelsero, con un colpo di mano e senza fare indagini puntuali, il sito di Scanzano Jonico in Basilicata che, dopo le sollevazioni popolari a cui partecipammo anche noi, fu ritirato – conclude Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – Si tratta di un’esperienza davvero terribile da non ripetere. La pubblicazione della CNAPI è solo il primo passo. Siamo infatti convinti che i troppi ritardi e la poca chiarezza che hanno caratterizzato fino ad ora questo lungo e complesso percorso, rischiano di far partire il tutto con il piede sbagliato. Formalmente da oggi ci sono 60 giorni per produrre delle osservazioni da parte del pubblico al lavoro fatto, ma non ci si può limitare a questo. Ribadiamo con fermezza l’urgenza di avviare un percorso trasparente, partecipato e condiviso col territorio che coinvolga i cittadini, le associazioni, le amministrazioni locali e la comunità scientifica, a partire dalle informazioni contenute nella CNAPI”.

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