L’ARTE DI FARE TEATRO – Il regista della compagnia teatrale carignanese Fric-Filo2 Pierluca Costa racconta il “dietro le quinte”

pierluca costa fric-filo

Come si diventa attori? Come nasce una commedia? A queste e altre domande risponde il  regista della compagnia teatrale carignanese Fric-Filo2 Pierluca Costa. che ci racconta il “dietro le quinte” in questa lunga intervista.

Innanzitutto, Pierluca, come si diventa attori?

pierluca costa

Beh, credo che attori un po’ si nasca. Ognuno di noi manifesta già in età infantile particolari inclinazioni, siano esse l’interesse per la scienza, oppure per la tecnica, o ancora per l’artigianato o lo sport; talvolta, c’è chi nasce con la particolare inclinazione di fare qualcosa davanti agli altri e per questo essere, in qualche modo, giudicato. Molti credono, erroneamente, che dietro il carattere di un attore vi sia una buona dose di egocentrismo, o perlomeno il sentore popolare ci ha insegnato questo: non è affatto così. Dietro la personalità dell’attore spesso c’è invece il desiderio di mettersi in gioco, di superare i propri limiti; c’è il desiderio di sentirsi vivi, in questa società morta; c’è spesso il desiderio recondito di interpretare ruoli che nella vita reale non si è capaci di interpretare. Il temperamento pure non c’entra nulla, infatti ho conosciuto attori stupefacenti sul palco, ma timidissimi nelle relazioni sociali. A volte si diventa attori anche per superare periodi bui della nostra esistenza, grazie al potere del palcoscenico che ci fionda in una vita immaginaria (quella del personaggio che interpretiamo), dalla quale per qualche tempo non possiamo fuggire, a differenza del set cinematografico dove ogni stacco è un violento ritorno alla realtà.

Sulla base di queste considerazioni, ci viene dunque da chiederti come gestisci i tuoi attori, cioè come distribuisci i personaggi da interpretare. Tieni conto della personalità di ognuno di loro?

 




Certamente. Al di là del fatto che la compagnia teatrale Fric-Filo2 è una grande famiglia e in questo senso la viviamo, occorre poi riflettere su come lavorare per raggiungere l’obiettivo comune di innovare il teatro, soddisfare il pubblico, crescere artisticamente e, naturalmente, divertirsi. Non è affatto un lavoro facile. Ogni volta che scrivo una commedia nuova, o adatto il testo di commedie di altri autori, tengo conto non soltanto della personalità dell’attore, ma del suo particolare momento di crescita artistica, della sua vita e del peso degli impegni famigliari e lavorativi e, non per ultimo, dei suoi desideri. Tengo conto dell’età e infine delle particolari tendenze, inclinazioni recitative che posso sfruttare per la buona riuscita dello spettacolo.

Puoi spiegarci meglio?

Ci provo. Dunque, a volte un attore si ritrova la responsabilità del ruolo di protagonista e questo ruolo spesso richiede un’importante presenza sul palco: da lui, in pratica, dipende l’esito della commedia. In questo caso spesso scelgo un attore che a livello di personalità, particolari inclinazioni e capacità recitative ed esperienza rispecchi più o meno in toto i lineamenti della parte che deve interpretare. In questo modo non dobbiamo investire troppo tempo a lavorare per inquadrare bene il profilo psicologico del personaggio e l’attore è libero di dedicarsi maggiormente all’esercizio mnemonico, che è quello che gli servirà per sostenere la sua massiccia presenza durante lo spettacolo. Mentre si struttura questo lavoro, parallelamente, mi è invece possibile investire sugli attori di contorno dove, se necessario, possiamo concordare un maggior sforzo interpretativo, così da poter crescere tutti insieme. In pratica, un attore che ha una parte più corta, potrà dedicarsi ad uno studio più approfondito del profilo psicologico del personaggio che interpreta e compiere uno sforzo interpretativo per allontanarsi dalla propria personalità, cosa che gli consentirà di accrescere la sua esperienza. Tutto questo l’avete visto alcune settimane fa nella commedia Don Pero che a-i pensa chièl”: il bravissimo Giancarlo Cerutti è stato protagonista perché egli ha naturalmente atteggiamenti, posture e toni congrui con il Don Pero del Rossini e di là di qualche suggerimento posturale, ha saputo interpretare magistralmente l’impegnato parroco; altri attori, hanno invece compiuto un buon lavoro di crescita (come Paola Gennero) e l’impegno dal punto di vista dell’interpretazione del personaggio è stato maggiore. Piero Gilardi, ad esempio, ha interpretato la macchietta Martin che ha richiesto lo sfruttamento delle sue particolari doti comiche, assieme ad un po’ di interpretazione del “personaggio tipo”. Mentre, per fare un salto nel passato, come non ricordare le giovani Sofia Taberna e Giulia Ghirardo Romero quando interpretavano l’incarnazione del precario equilibrio tra follia e razionalità in Silenssio … prego!?

Ribaltando la questione, invece: come nasce un personaggio “su carta”?

intervista a pierluca costa

Mentre scrivo una commedia di mio pugno la creazione di un personaggio richiede un po’ di lavoro. Innanzitutto, il personaggio deve rispondere alle necessità strutturali della storia: a volte, inserisco personaggi che hanno soltanto la funzione di interrompere determinate scene per far “prendere fiato” al pubblico da vicende narrative impegnative, come i ruoli di Daniele Lusardi e Mario Groppo durante la cena dei coscritti nell’opera A va’ bin parei. Poi ci sono personaggi che rivestono un ruolo chiave per ciò che si vuole trasmettere con la vicenda: potremmo definirli i custodi della morale finale. Questi personaggi, qualche volta contrapposti, rappresentano il nocciolo della riflessione moralistica che si vuole condividere con il pubblico, come lo sono ad esempio, per semplificare, il buono e il cattivo, l’onesto e il disonesto, l’avaro e il generoso e così via.

Come fai a creare, ad esempio, un bugiardo? Cioè, come scrivi le battute e cosa spieghi poi all’attore per interpretare questa particolare personalità?

Parto innanzitutto dal ruolo strutturale che esso ha per la storia che si rappresenta, scrivendo battute chiave che traccino il filo delle vicende, ma non è necessariamente detto che il pubblico debba comprendere sin da subito che il personaggio è un bugiardo, anzi: spesso lo scopre alla fine. Però devo fornire qualcosa agli occhi più attenti del pubblico, così da far maturare dei sospetti: sono convinto che una commedia ben impostata debba tenere intellettualmente impegnato il pubblico. Quindi, inizio insieme all’attore uno studio della personalità del bugiardo nella sua espressione psicologica, vale a dire tipici modi di strutturare le frasi, reazioni tipiche etc., per giungere infine allo studio della prossemica, cioè i movimenti del corpo che comunicano. Infatti, contrariamente a quanto si pensa, noi leggiamo il comportamento dei nostri interlocutori interpretando (spesso inconsciamente) proprio i movimenti del corpo, mentre il linguaggio ha un peso minore. Perciò se io affermo “oggi c’è il sole”, ma non è vero, il mio corpo, involontariamente,  contraddirrà quell’affermazione in modo tipico e riconoscibile, perché sono movimenti istintivi e incontrollabili: questa materia è ben nota agli investigatori. Perciò, nel limite del fattibile io e l’attore ci dedichiamo proprio allo studio della recitazione con il corpo. Un’interpretazione magistrale di questo meccanismo fu data dall’attore Maurizio Toselli in “…Merica!”. Ricopriva il ruolo di agente della CIA e non pronunciò una sola battuta per tutta la durata della commedia, salvo rivelarsi poi nella scena finale. Ebbene, sono certo che grazie alla sua spiccata espressività e al grande lavoro che dedicò agli atteggiamenti posturali del personaggio buona parte del pubblico nutrisse il sospetto che si trattasse di una spia ben prima della fine. O ancora il ruolo di Donatella Piacenza, ne El mostro ed Vilastlon”, che recitava un monologo assai drammatico, ma che si chiudeva con l’arrivo del piccolo rampollo … un minuto Massimiliano Giachetti che sconvolse dalle risate il pubblico. Anche quello sbalzo emotivo non fu facile da interpretare. E che dire proprio d’el mostro, un bravissimo Lorenzo Turletti che ha saputo nascondere i suoi peccati, continuamente schiacciato dalla goffaggine del maresciallo (Renato Pautasso)? E Laura Chicco, nella sua parte ambigua di amante dell’investigatore, che aveva il ruolo di confondere il pubblico sul possibile colpevole?

intervista a pierluca costa

Tutto molto interessante, servirebbe un libro intero per comprendere bene. Invece, scenografie, costumi, effetti sonori e di luce, come li scegliete?

Anche qui è un discorso complesso. Vedi, il teatro è magico proprio perché è un’alchimia di tutte queste cose, che sono inscindibili l’una dall’altra: il totale è più della somma delle sue parti, diceva Goethe. Posso dire che innanzitutto la musica è un amplificatore delle emozioni, perciò ogni sentimento che si vuole veicolare durante la recita può essere amplificato con la musica: converrete con me che, ad esempio, l’organo che sentiamo in chiesa veicola sentimenti ben diversi da una chitarra elettrica. Io spesso mi servo dell’organo di Bach quando devo veicolare qualche sentimento fermo, casto e istituzionale, mentre adopero il pianoforte di Chopin come accompagnamento per situazioni dolci, romantiche. Ognuno di noi ha questo tipo di sensibilità, anche se talvolta ne è inconsapevole. I brani musicali cantati moderni, invece, possono essere utilizzati come introduzione o chiusura di una determinata scena e teniamo in particolare considerazione il testo. Mi ricordo, ad esempio, di aver utilizzato l’inno dei laureandi di Torino proprio per evocare quel sentimento di libertà e speranza tipico dell’epoca, lontano certamente dai sentimenti dei laureandi di oggi. Una volta, invece, l’ingresso di due severi ecclesiastici in una commedia ambienta nel 1700 (la commedia era La povertà as divèrt, ma nen tròp e i preti erano Gabriele Garnero e Giancarlo Cerutti), era accompagnato dal “Rex” del requiem di Mozart. E che dire di Arrivano i nostri di Clara Jaione che introduceva l’arrivo dei carabinieri Massimiliano Giachetti, Sergio Zappino e Diego Cappellari in “El cont ed clemente”? C’è però una cosa che un regista dovrebbe fare con estrema cautela: usare melodie, brani o canzoni famose in grado di evocare film o specifiche opere teatrali. Da spettatore, mi capitò di assistere ad una scena romantica coperta dal brano al violino del film Shindler’s list: orrore! Mentre i due amoreggiavano mi aspettavo da un momento all’altro l’arrivo del gerarca nazista pronto a far fuori i due innamorati … Lo stesso discorso per quanto concerne le luci, tenendo in considerazione che per esse ci sono regole tecniche che bisogna rispettare. Anche la scelta di trucco e costumi richiede attenzione. Valentina  Ballabio e Mirella Benedetto   scelgono con  accuratezza acconciature  e  trucco, che rappresentano soprattutto la cura che il personaggio ha di sé; Sonia Rubatto e Laura Chicco mentre recitano si occupano meticolosamente anche dello studio dei costumi di scena, che non devono essere soltanto in linea con la moda dell’epoca rappresentata o con l’estrazione sociale, ma devono  anche  aiutare  i   vari    attori    a caratterizzare i personaggi che interpretano. Ad esempio, quando dobbiamo  “vestire”  un personaggio femminile   di età    avanzata dobbiamo fare attenzione a non cadere nella tentazione di vestirlo   alla   moda   corrente dell’anno rappresentato: infatti, generalmente, uomini e donne subiscono un certo imprinting relativamente alla moda presente durante la giovane età e ne portano richiami per tutta la vita. Le nonne di quelli della mia generazione, per quanto potessero godere della moda degli anni Settanta e Ottanta, portavano tutte dettagli più o meno evidenti della moda anni Quaranta. Le scenografie invece sono un discorso a parte. La scenografia è una cornice della vicenda, una cosa che è funzionale agli attori e spesso anche al regista per creare quelle condizioni idonee ad evocare determinate situazioni. Un tempo (ed io ero uno dei più accaniti sostenitori), usavamo il metodo cinematografico (così lo definisco io), che prevede che la scena ritragga fedelmente in ogni sua parte l’ambiente ove si svolge la vicenda. Quindi, un salotto doveva essere un salotto in ogni sua parte, tappezzeria compresa. Ho scoperto poi insieme a Mauro Capello che il classico fondale nero è più funzionale e consente al pubblico di crearsi nella propria testa un’immagine del luogo, aiutato dall’uso di alcuni elementi fondamentali: una sedia, una finestra, una pianta. Mi piace molto il fondo nero perché mette in risalto volti e costumi ed elementi scenografici, ma ci lascia immergere in un’atmosfera fantastica ed immaginaria, quasi come fosse una percezione onirica.

Quindi nel teatro si lascia ampio spazio all’immaginazione

Sì, ma non troppo. Siamo piuttosto esigenti quando dobbiamo fondere musiche, costumi, accessori, termini etc.: il nostro filone è quello di ambientare le nostre commedie in epoche passate e non vogliamo sbagliare. Abbiamo addirittura Daniele Lusardi che, oltre che recitare, si occupa con severità della revisione linguistica dei copioni. Al di là del lavoro che comporta questo approccio è comunque sempre molto bello e interessante approfondire dettagli che la maggior parte trascurerebbe. Ad esempio, quel determinato paio di occhiali presenta una forma congrua con l’epoca rappresentata? La via citata era già nominata così o all’epoca aveva un altro nome? Quel tipo di collana è in accordo con la moda del tempo? E così via.

I tecnici di regia a che punto del lavoro arrivano? Che ruolo hanno?

I tecnici di regia sono indispensabili: senza le loro conoscenze tecniche non potremmo realizzare nulla. Diceva la nostra regista Ritangela Margaria “Io metto le idee, voi le realizzate”, ed in effetti e così. Più che altro si tratta di condividere strategie per raggiungere determinati obiettivi. Ricordo nella commedia Silenssio … prego! che Matteo Barbero (colui che generalmente si occupa degli effetti speciali), realizzò una straordinaria luna dietro ad una finta vetrata utilizzando un vecchio lampadario a sfera in silicone: un effetto straordinario quanto inaspettato. Per non parlare di quando realizzò nella famosa commedia Natal en cà Capèl (traduzione della celeberrima opera di De Filippo), un marchingegno che simulava una copiosa nevicata durante la vigilia di Natale con tubi da stufa, cordini e palline di polistirolo. Poi i tecnici luci-audio, come Pierdavide Gambino, che manovrano i tavoli della regia secondo i tempi della commedia, giungono quando gli attori hanno già sufficiente dimestichezza con le battute, in modo tale da avere una visione più o meno completa del susseguirsi delle varie scene. Luci e musica vanno miscelate in modo opportuno, come a creare una melodia.

Un mondo fantastico e misterioso, quello del teatro. Come ti vengono le idee per i copioni che scrivi?

 È difficile raccontarlo. Prima di pensare di mettere in scena Don Pero che a-i pensa chièl avevo in mente di scrivere una commedia che sarebbe ruotata attorno ad un collezionista di francobolli: si sarebbe intitolata proprio “Franco Bollo”, nome e cognome del protagonista, dacché Bollo è anche un cognome piemontese piuttosto diffuso. Insomma, tutta questa idea nacque proprio durante alcune serate dove mi trovavo impegnato a sistemare la collezione di francobolli storici di mia zia. Silenssio … prego!”, per citare un altro esempio, era una commedia ambientata in un manicomio di fine Ottocento e fu concepita durante la mia permanenza presso lo zoo di Londra, come etologo dottorando. Fu una trasferta di qualche mese molto sofferta e, probabilmente, i sentimenti contrastanti che mi pervadevano durante le interminabili giornate londinesi presero vita nella carne dei tanti pazienti psichiatrici del manicomio. Forse, non mi sentivo libero di esprimermi durante il percorso di dottorato mentre “il matto”, per antonomasia, è colui che generalmente si esprime troppo. Merica, invece (la prima commedia che scrissi di mio pugno), originò dapprima dall’idea di strutturare una commedia sui brani di Fred Buscaglione: allora, ne parlai ancora con Ritangela. Poi, il profumo d’ America e l’impronta gangster di Che botte quella notte! fecero tutto il resto, anche se il brano fu poi sostituito da alcune composizioni del film The artist. Mi capita spesso di maturare un’idea ascoltando musica: infatti, la scelta dei brani musicali e delle composizioni è sempre la prima fase alla quale mi dedico prima di scrivere un copione. Dall’ascolto ripetuto della musica nascono nella mia testa le scene, che poi trascrivo sul copione. La scelta della parte musicale è una fase importante per me e ne sono gelosissimo. L’idea di per sé, però, può davvero nascere da qualsiasi cosa. La commedia “A va’ bin parei, ultima opera andata in scena prima della pandemia, nacque da un periodo molto particolare della mia vita: una forte insoddisfazione e repulsione per la società attuale mi spinse a proporre alcune riflessioni sul diverso significato che si attribuiva alla vita in passato ed è stata anche un’occasione per dedicare uno dei miei lavori a mio nonno (una delle presenze più importanti della mia vita), che resuscitò tra i gesti e le parole rassicuranti dell’attore Sergio Zappino, che lo incarnò magistralmente.

intervista a pierluca costa

Puoi riassumere ruoli e figure del “dietro le quinte”?

Certamente. Comparse (tra le altre, Valeria De Orsola, Elena Falcone, Vittorio Dughera, Maddalena Berutto, Giuseppe Gagino), tecnici di regia (luci e audio, tra gli altri Roberto Greborio), responsabile effetti di scena, scenografo (colui che idealizza e realizza le scenografie), truccatrice, parrucchiera, costumista, suggeritrice (la nostra è Cinzia Garis), responsabile oggetti di scena (Antonella Fiorin), responsabile SIAE (Luisa Boglione) e maschere (chi accompagna il pubblico a sedere). Dietro le quinte, però, c’è ancora un’anima senza la quale tutto questo non potrebbe esistere: il Direttivo del nostro gruppo. Laura Chicco, Piero Gilardi, Valentina Ballabio, Donatella Piacenza, Sonia Rubatto e il caro Giovanni Rubinetto lavorano incessantemente affinché la magia del teatro possa perpetrarsi. E noi li ringraziamo.

Ultima domanda: in tutto ciò, cosa significa essere regista?

 Significa avere il grande privilegio di poter svelare al mondo i propri sentimenti, nascondendoli tra un atto e l’altro, in una lingua che soltanto gli artisti possono comprendere.

intervista a pieluca costa

 




Condividi questo articolo

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.