A GARDEN OF MY OWN, Emanuela Bernascone – Greta e le Gallerie d’Italia a Torino

Gallerie d'Italia Torino

(foto Emanuela Bernascone)

L’offerta culturale torinese si è da poco arricchita di un nuovo polo espositivo dedicato alla fotografia e visto che, come avrò modo di raccontare in una prossima puntata, la fotografia è da sempre la mia passione e da molti anni il mio lavoro, non vedevo l’ora di visitarlo.

Le Gallerie d’Italia hanno aperto a Torino una delle quattro sedi dei Musei di Intesa Sanpaolo, già presenti a Milano, Napoli e Vicenza. Il maestoso Palazzo Turinetti, in piazza San Carlo, è stato perfettamente ristrutturato e adattato per ospitare l’Archivio Publifoto che comprende le immagini raccolte dall’agenzia fondata nel 1937 da Vincenzo Carrese, photo editor del Corriere della Sera, prima con il nome di Foto Agenzia Keystone di Carrese Vincenzo, ribattezzata poi, il 1 gennaio 1939, Publifoto, fotografie da pubblicare.

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Pino Musi – Archivio Publifoto

Gallerie d'Italia

Pino Musi – Archivio Publifoto

A Torino sono quindi ospitati 7 milioni di fotografie di tipo analogico, compresi negativi su vetro e pellicola, provini a contatto, stampe per lo più in bianco e nero e diapositive a colori, che vanno dal 1930 al 1990; sono fotografie di cronaca, politica, costume, società, cultura, sport, paesaggio e architettura attualmente in fase di catalogazione. Insomma da far venire l’acquolina in bocca a qualsiasi amante di fotografia compresa la sottoscritta!

Dopo aver percorso lo scalone che porta all’ingresso del museo, che a me ha tanto ricordato il negozio Apple di Milano, si scende un ulteriore piano e ci si trova all’altezza del caveau dell’ex banca dove, attraverso ampi finestroni, si può avere un’anteprima dell’archivio dove sono raccolte le fotografie. È ancora presente la cassaforte della banca e a me piace immaginare che all’interno siano ospitate le fotografie più preziose, o magari più segrete, dell’Archivio Publifoto. Il gentile operatore culturale al quale mi sono rivolta non ha confermato la mia versione romanzata, ma non l’ha neppure negata! Mi è stato molto utile invece per riuscire ad attivare l’app di Gallerie d’Italia attraverso la quale completare la visita all’Archivio. Un’ottima idea per la fruizione delle immagini, anche se i passaggi per scaricare le fotografie prescelte tra quelle che scorrono su di un mega schermo sono poco intuibili; o forse soltanto non a prova di boomer? Se per caso qualche giovane lettore avesse piacere di raccontarmi la sua esperienza mi interesserebbe saperlo, ovviamente chiedo per un’amica eh!

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(foto Emanuela Bernascone)

Dopo l’esperienza immersiva è possibile visitare la mostra Dalla guerra alla luna 1945-1969. Sguardi dall’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo, una selezione di immagini che vanno dal dopoguerra al boom economico a cura di Giovanna Calvenzi e Aldo Grasso. In circa 80 scatti, la mostra racconta l’Italia che rinasce dalle macerie del secondo conflitto mondiale, il piano Marshall, il boom degli anni ’60 e l’avvento della televisione, la motorizzazione di massa e i sogni legati alla conquista della luna, una carrellata di immagini in bianco e nero che descrivono l’evoluzione e la ripresa del nostro Paese.

Molto interessante la stanza dove si trovano i negativi e le prove di stampa, con alcuni appunti tipo “foto stampata molto male!”.

Ma il pezzo forte della visita è, o dovrebbe essere, la mostra di Paolo Pellegrin La fragile meraviglia, un viaggio nella natura che cambia a cura di Walter Guadagnini, direttore di Camera – altro spazio dedicato alla fotografia a Torino – e Mario Calabresi, ex direttore de La Stampa e la Repubblica.

Pellegrin è un fotografo arcinoto, sia in Italia che all’estero, membro prima dell’Agence Vu e successivamente della Magnum, ha vinto moltissimi premi ed è stato esposto in “santuari” della fotografia. Per questa mostra ha ricevuto l’incarico da Intesa di realizzare un corpus di immagini dedicate a uno dei temi centrali della contemporaneità: il rapporto tra l’uomo e la natura.

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Vulcano Fagradalsfjall, penisola di Reykjanes. Islanda, 2021 Paolo Pellegrin/Magnum Photos

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Parco nazionale di Namib-Naukluft. Namibia, 2022 Paolo Pellegrin/Magnum Photos

In mostra foto di grandi dimensioni, vulcani in Islanda, ghiacciai in Groenlandia, il deserto in Namibia, cactus in Messico e la foresta in Costa Rica,  passando per la Sicilia e il Trentino. La mostra si sviluppa intorno ai quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco, intorno ai quali si raggruppano le imponenti immagini. L’essere umano, contrariamente a molti altri lavori di Pellegrin, non è mai ritratto e questo dovrebbe suggerire una presa di coscienza del suo ruolo e della sua responsabilità. Dovrebbe, ma per quanto mi riguarda non è questo l’effetto che mi hanno fatto le straordinarie foto in mostra, che ho trovato davvero sublimi nel ritrarre la bellezza della natura, ma poco comunicative. Mi spiego meglio, le fotografie sono stupende e potessi me le comprerei tutte ed effettivamente mi hanno comunicato la bellezza ma non la fragilità da cui il titolo, non ho avvertito urgenza nelle immagini, né il monito ad avere più cura dei soggetti ritratti.

Per un puro caso – sempre che il caso esista – mi è capitato di visitare la mostra il giorno in cui Greta Thumberg avrebbe dovuto essere a Torino per un Friday for Future (partecipazione poi saltata)  e me la sono immaginata a girollare per le sale delle Gallerie davanti alle fotografie di Pellegrin. E nella mia testa Greta scuoteva il capino e pensava che noi adulti, come spesso succede, ce la suoniamo e ce la cantiamo.

Scusaci Greta, forse hai ragione tu, forse questo è lo stile di noi cinquanta/sessantenni. Per ricordarci di quanto è meravigliosa la natura che ci circonda abbiamo bisogno di fotografarla al suo meglio, forse non abbiamo abbastanza fegato per riprenderla deturpata dai nostri interventi catastrofici e dalle nostre abitudini malsane. Il nostro cervello evidentemente funziona così, ma fidati, lo facciamo con le migliori intenzioni.

Emanuela Bernascone

info@emanuelabernascone.com

A garden of my own, terza puntata – Le puntate precedenti: luglio 2022 Smon Hantaï alla Fondation Louis Vuitton a Parigi; giugno 2022 Diplomatija astuta

A garden of my own. Ho pensato a lungo a come intitolare la mia rubrica su Ieri Oggi Domani. e alla fine la descrizione che mi è parsa più pertinente è A garden of my own; non dovrei spiegarlo, perché è così che si fa, lasciando al lettore la curiosità e il divertimento di immaginare la causa recondita e anche la soddisfazione nel pensare di aver indovinato la motivazione. Ma io sono malata di comunicazione, nel senso che amo comunicare e ho bisogno che il messaggio arrivi forte e chiaro, senza incomprensioni; quindi eccomi qui a illustrare la mia scelta: è palese il riferimento a “A room of own’s own”, di Virginia Woolf, però io ho deciso di uscire dalla stanza per entrare in un giardino, il mio giardino. Uscire allo scoperto quasi, in un luogo tutto mio dove ospitare le passioni che mi animano; quindi qui seduti sull’erba parleremo di arte -naturalmente- e di libri, serie televisive e viaggi, ma anche di tutto ciò che attira, per un motivo o per l’altro, la mia attenzione. Comincio io a raccontare, in attesa di ricevere da qualche lettrice o lettore suggerimenti di argomenti che le o gli stanno particolarmente a cuore, perché in questo mio giardino c’è posto per tutti e niente mi riempie di gioia come ospitare gli amici in casa mia!

emanuela bernasconeTorinese, Emanuela Bernascone negli ultimi 30 anni ha lavorato nella comunicazione culturale, viaggiato molto con la numerosa famiglia e a settembre è uscito il suo primo romanzo, frutto, ça va sans dire, di un viaggio: “Malta bastarda”.

 

 

 

 

 

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